Due anni di lavoro trascorsi in Argentina. E una mostra fotografica che vuole celebrare l'esperienza di vita oltreoceano di Davide Berri, fotoreporter lecchese noto per le sue collaborazioni con le principali testate giornalistiche locali e la partecipazione a concorsi ed esposizioni nazionali. mostra verrà inaugurata domenica 20 dicembre a partire dalle 18.30 alla Galleria d'arte La Nassa di piazza Era, nella suggestiva località di Pescarenico, a Lecco. Le opere saranno suddivise in tre sezioni: paesaggi, reportage e grafica. Fil rouge, la passione dell'autore degli scatti per l'Argentina, dove tutt'ora vive e lavora. Davide BerriPer conoscere meglio l'artista è possibile visitare il sito www.davideberri.it Equilibrate dissonanze ha suscitato l'interesse di numerosi soggetti pubblici e privati, che hanno sposato con convinzione l'iniziativa. Tutti gli imprenditori coinvolti hanno scelto di supportare un evento culturale giovane ma di ampio respiro, guardando oltre il proprio settore lavorativo di competenza. La mostra riveste infatti un'alta valenza culturale e sociale. Per tutta la durata dell'esposizione sarà possibile acquistare alcune foto formato Polaroid realizzate per l'occasione da Davide Berri in serie limitata e il cui ricavato sarà interamente devoluto all'associazione Voces Vitales che in Argentina si occupa di sviluppare progetti per rafforzare la presenza decisionale delle donne nella società. Una scelta che, insieme al valore artistico dell'esposizione, ha fatto ottenere all'evento il patrocinio del Comune di Lecco. Da evidenziare, inoltre, la scelta dell'artista di stampare le proprie foto su supporto ecologico in cartone. Domenica 20 dicembre dalle 18.30 Davide Berri sarà presente alla mostra “Equilibrate dissonanze”. Ad introdurlo e a commentare le opere, sarà Giulio Sangiorgio, critico e vicepresidente dell'associazione Dinamo Culturale. Seguirà aperitivo. L'ingresso è gratuito. (La Galleria resterà chiusa i giorni 25/26 dicembre e 1 gennaio) Questa la locandina dell'iniziativa:Sì, «com’è tutto uguale» in Argentina. O meglio: com’è uguale lo spirito che muove il lavoro di Davide Berri fotografo. Che è e resta - anche in questa sua fuga verso quella che i nostri migranti, 2 milioni e 500 mila tra il 1870 e il 1950, speravano fosse «la Merica» - un cronista di eventi che non fanno la storia con la s maiuscola, un coreoagrafo istintivo di uomini e cose, di gesti e di attimi, un cantore d’amore pulsante verso l’essere in quella terra, in quel momento, con quella macchina fotografica tra le mani, e sull’occhio. A guardare i frammenti di Reportage metropolitano si scorge al lavoro un’arte del disimpegno, l’elusione dell’aneddoto e del fatto da testimoniare, l’affrancamento naturale da una pretesa didascalica e politica (anche quando la politica appare, come soggetto): c’è, invece, la gioiosa ricerca di forme d’ogni giorno da magnificare con sguardi sghembi ed eccentrici, manierati e virtuosistici, come se gli scatti di Berri fossero invero un contro-reportage, una sintesi priva di fine e denuncia ma portata ad assorbire dentro di sé il caos urbano, a registrare umilmente il crash quotidiano tra l’uomo e Buenos Aires, le luci, i colori, le scie di movimento, l’alchimia di sensi che il fotografo respira nell’attimo, e che gli scatti strepitano per restituirci. Qualcosa che non concerne l’assoluto, il senso alto, il messaggio da imbottigliare, ma l’espressione di un’esperienza, di un qui e di un’ora, un’emozione che il lavoro di post-produzione cerca di riattivare negli occhi di chi guarda, accentuando i toni, cercando il proprio, privatissimo, punctum. Rianimare nel pubblico il proprio ricordo di un sentimento circoscritto, ricostruire un momento di memoria personale, condividerlo a mo d’impressione, di pensiero primitivo. La politica, quella, giunge in un secondo momento: perché Berri, con la messa in vendita di queste immagini, decide di offrire il ricavato a Voces Vitales, associazione argentina dedicata al sostenimento di figure femminili in ambiti lavorativi e alla promozione di politiche di pari opportunità. Come a dire che quello che la fotografia non può fare direttamente, può farlo indirettamente, passando non tanto dal mercato, ma dall’umana generosità di chi guarda, compra e dona. Gesti piccoli, umani. Paesaggistica e Grafica ribadiscono la medesima attitudine morale e formale, lo sguardo scientemente teso tra kitsch e naïf di un fotografo che cerca l’incanto nel mondo, il dettaglio inaspettato, il paesaggio sublime, la prospettiva fuori schema: e, ancora, soprattutto, il segno della fotografia sulle cose, l’affermazione della propria presenza, il respiro corto - rispetto all’eterno dello scatto – del piccolo uomo con la macchina fotografica. E allora ecco in mostra tutto il suo armamentario formale, le marche d’autore, i trucchi da mago dell’occhio ben esposti, proposti in ogni gamma, dalle ottiche alla color correction. E allora ecco cartoline che sono sì documenti del vero, ma su tutto una traccia d’esistenza, la firma urgente, urlata, vitalissima di un umile artista che s’è deciso ad andare in Argentina per raccontarla con le immagini, sapendo che non possono essere - e non vogliono essere - altro che le sue.Giulio Sangiorgio, vicepresidente Dinamo Culturale
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