Un panetto di marijuana in un'immagine d'archivioGià al momento del rinvio a giudizio, la vicenda, anticipata nei corridoi del Tribunale per sommi capi, dopo l'udienza in camera di consiglio, era sembrata alquanto originale. Il sentirla raccontare, in Aula, dalla viva voce di due dei suoi protagonisti, ha confermato l'iniziale impressione: più che una storia successa davvero - a detta almeno della persona offesa e di un amico, escusso a seguire - quella proposta nella mattinata odierna al collegio giudicante della Foro di Lecco è apparsa come una tragicommedia con risvolti, però, chiaramente penali. Per sommi capi: nei giorni a cavallo tra il marzo e l'aprile del 2014 un ragazzino residente in città e due suoi coetanei, cresciuti in Italia, ma entrambi di origini balcaniche, avrebbero deciso di acquistare della sostanza stupefacente, allo scopo - parrebbe - di rivenderla per ripianare il debito contratto con i fornitori, ai quali sarebbero arrivati contattando "amici di amici", e al tempo stesso guadagnarci sopra qualcosina. Dall'iniziale ipotizzato mezzo chilo di marijuana si sarebbe arrivati all'acquisizione di ben due chili di "roba", d'altronde, avrebbe precisato uno dei venditori, "per meno di un chilo noi nemmeno ci muoviamo", decidendo così di appioppare al terzetto lecchese un sostanzioso "pacco" al prezzo di 7.000 euro. Ritirata - da solo - la confezione, sul lungolario, il ragazzino italiano - primo a prendere la parola in Aula, incalzato dal pubblico ministero Paolo Del Grosso - lo avrebbe portato in "un'area boschiva sopra viale Turati, zona Santo Stefano", come ha spiegato egli stesso o più precisamente "sul San Martino" come sostenuto dal pari età kosovaro chiamato anch'egli a deporre nella mattinata odierna, assistito, come l'amico, da un proprio legale di fiducia in quanto entrambi indagati in altro procedimento, relativo all'acquisto della droga. Alla presenza del terzo implicato "nell'affare" e forse da altri giovanotti - su tale punto le versioni rese dai due testi si sono confuse - avrebbero quindi interrato lo stupefacente, in quello che ritenevano essere un posto sicuro. L'indomani i presunti due chili di marijuana erano però spariti. "Ho temporeggiato per saldare il debito ma la situazione si è evoluta in modo non bello" ha riferito il lecchese. Una volta infatti comunicata al "venditore" il furto dal pacco, questo avrebbe reagito minacciando - telefonicamente e tramite WhatsApp - l'acquirente italiano. "Sappi che i soldi mi servono da ieri" risulta scritto in un messaggino. "State pronti a pagarne le conseguenze". E' in questo contesto dunque che originerebbe la tentata estorsione contestata a Ivan Brambilla, Giuseppe Lanzillo, Domenico De Nicola (difesi d'ufficio dall'avvocato Arveno Fumagalli) e Attilio Berlingeri (assistito di fiducia dalla penalista Rosanna Cascione del Foro di Monza), tutti assenti all'udienza odierna ma descritti ai giudici dalla loro presunta vittima. Sui venti-venticinque anni i primi due, gravati anche dell'accusa di spaccio in quanto supposti autori della cessione dello stupefacento, con il Lanzillo indicato quale il più gracile del quartetto e sui quaranta-cinquanta anni gli altri due, entrambi corpulenti, brizzolati e con inflessione calabrese. "Abbiamo cercato di "tirare su" i soldi ma non ci siamo riusciti, non c'è stata data la possibilità" ha spiegato il kosovaro con espressioni simili a quelle usate dall'altro ragazzino al quale il Berlingeri avrebbe in un'occasione fatto con le mani il gesto della pistola, per rafforzare le già pressanti richieste di denaro tali da spingere il ragazzino a vuotare il sacco, raccontando ai propri genitori il "pasticcio" combinato, sporgendo poi denuncia in Questura. Il prossimo 7 luglio è così prevista l'audizione dell'operante che si occupò dell'attività investigativa che ha portato all'identificazione dei quattro attuali imputati nonché il terzo giovanotto rimasto "scottato" dall'acquisto della marijuana poi volatizzatasi nel nulla.© RIPRODUZIONE RISERVATA
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