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Metastasi, l'avvocato D'Agostino 'vs' il Pm: processo indiziario, basato su suggestioni

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Il Tribunale di LeccoPiù che un piccone è stato un vero e proprio martello pneumatico. L’avvocato Michele D’Agostino, difensore dell’imprenditore Claudio Bongarzone e della sua compagna di origini brasiliane Gilvana Goncalves, chiamato nella mattinata odierna a rompere il ghiaccio lo ha fatto entrando – fin dalle prime battute della sua arringa – a gamba tesa: un minuto e 22 secondi, questo infatti, a suo dire, il tempo riservato ai suoi assistiti dal pubblico ministero nella sua requisitoria, per poi arrivare a chiedere la condanna di entrambi. 5 gli anni proposti per lui (già condannato in abbreviato a Milano, con l’esclusione dell’ipotesi di reato prevista dall’articolo 416 bis e dunque dell’associazione mafiosa derubricata ad associazione per delinquere semplice) e 3 per lei. “E già non si capisce la disparità” ha evidenziato il legale che non ha mancato di spiegare al collegio giudicante – presieduto dal dr. Enrico Manzi con a latere i colleghi Salvator Catalano e Maria Chiara Arrighi – come alla formulazione delle accuse mosse nei confronti dei propri assistiti – tacciati a vario titolo di riciclaggio e della fittizia intestazione del bar Dos Loucos di Valmadrera – si sia arrivati dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare – il 4 aprile 2014 – a carico di Bongarzone. Nel corso della perquisizione domiciliare compiuta presso l'abitazione della coppia al momento dell’arresto, infatti, la compagna del lecchese avrebbe consegnato ai baschi verdi anche le cambiali in suo possesso relative all’acquisto del pubblico esercizio. “Per poterle mantenere poi in sequestro si è dovuto formulare un’imputazione” ha affermato D’Agostino, facendo riferimento alla contestazione mossa verso la Goncalves di essere socia fittizia del locale a cui si sono aggiunte quelle sollevate nei confronti del suo fidanzato, indagato solo successivamente nell’ambito del “filone bis” dell’inchiesta. “Si dà per scontato un presupposto: esiste un’associazione per delinquere e tutto quello che fanno è illecito” ha proseguito l’avvocato, sostenendo, chiaramente, che non sia così arrivando ad accusare il magistrato di aver costruito “un processo sul nulla. Capisco la pubblica accusa – ha detto – ma non si può ricercare a tutti i costi la colpevolezza” per poi aggiungere: “il minestrone lo fai con le verdure che hai ma leggere per dieci ore intercettazioni telefoniche vuol dire che può comunque esserci una lettura alternativa, non si va oltre ogni ragionevole dubbio”.E proprio citando le telefonate registrate dal Gico, ha poi proseguito citando qualche “errore” interpretativo, come quello relativo – a suo avviso – alla presenza di un certo Trimboli (non a processo) nella compagine sociale della DBM, sulla carta intestata a Bongarzone e al co-imputato Claudio Crotta, per la quale è finito a giudizio quale ipotizzato socio occulto anche Gaetano Mauri e dietro la quale – stando al quadro accusatorio – si nasconde Mario Trovato. Beh, facendo due conti si sfora il “siamo 3 soci” avrebbe affermato un intercettato. “C’è il dubbio, quantomeno, che le cose non stiano come sostiene il pm” ha dichiarato D’Agostino, affermando poi che “non basta dire che giravano tanti soldi perché ci sia un illecito” né tanto meno che si trattasse di contante visto che “nelle macchinette non si mettono gli assegni” per poi far presente che in altre conversazioni Trovato si riferisce al Dos Loucos come “al bar di Claudio Bongarzone”, non come ad una sua proprietà.“Non si può prender A prima, B dopo e C dopo ancora per dire che c’è tutto l’alfabeto” ha rimproverato alla dottoressa Albertini, facendo allusione all’uso fatto delle intercettazioni. “Si tratta di un processo indiziario. Abbiamo una montagna di carta che partorisce un topolino. Ci sta dando solo suggestioni, il nulla” ha sentenziato, citando anche il mondo dell’utopia di Platone per poi sostenere che l’inchiesta Metastasi “non ha portato a nulla. Le idee hanno bisogno delle gambe per camminare. L’errore è che non bisogna innamorarsi delle idee. Bisogna provare le idee. La verità una deve essere. Davanti all’evidenza bisogna anche arrendersi” ha concluso, ponendo infine una serie di domande per insinuare il dubbio nei giudici. “Se c’è l’intestazione fittizia, perché le cambiali sono in mano alla Goncalves che le consegna alla Guardia di Finanza? Come si concilia che nessuna somma va a Trovato? Come si concilia che non ci siano intercettazioni tra Trovato e la Gilvana?...” e così via, per chiudere chiedendo – dopo 45 minuti di requisitoria - l’assoluzione di entrambi i propri clienti perché il fatto non sussiste.

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