Il 18 novembre 2011, lungo Via Stoppani a Valmadrera, due ragazze sono venute alle mani e una di loro ha riportato una ferita da arma da taglio al fianco sinistro. Nella giornata di oggi, lunedì 18 aprile, il giudice Salvatore Catalano ha condannato M.C.S e M.C.J.A., uomo e donna che quel giorno si erano recati a casa della giovane, rispettivamente a 5 mesi e 20 giorni e 4 mesi di reclusione, oltre a sostenere le spese della costituzione di parte civile e risarcirla con 8.400 €. L’avvocato di parte civile Nadia Invernizzi aveva chiesto per la sua assistita (assolta dall’accusa di molestie telefoniche nei confronti dell’altra ragazza) 30.000 €, a seguito del profondo taglio inferto da un’arma bianca che le ha lasciato una cicatrice permanente. A cercare di far luce sui fatti in questione, caratterizzati – come hanno sottolineato gli stessi avvocati – da una serie di incongruenze e criticità emerse durante le varie esposizioni, sono stati oggi un carabiniere della stazione di Valmadrera intervenuto sul posto, l’allora convivente della parte lesa e l’uomo imputato. Il militare ha riferito di essere giunto in Via Stoppani a seguito della chiamata della centrale operativa, che riferiva di una ferita da arma da taglio. “Quando siamo arrivati la giovane era sulla pubblica via, una strada a senso unico bloccata dall’ambulanza che era stata inviata per soccorrerla. Abbiamo cercato una possibile arma compatibile con la lesione che lamentava, ma non ne abbiamo trovate né sul posto né a casa dell’imputata, che è stata sottoposta a perquisizione. Non siamo entrati dell’abitazione della giovane ferita, abbiamo ascoltato il convivente a sommarie informazioni in caserma. Non ricordo alcun particolare su chiazze di sangue”. Proprio sulla presenza di tracce ematiche evidenti si è invece soffermata la testimonianza del giovane che all’epoca dei fatti viveva con la ragazza. “Tutto è nato perché l'imputata mi aveva offerto un passaggio in auto per andare al lavoro, che io ho gentilmente rifiutato. La giovane con cui convivevo allora l’aveva chiamata per avere chiarimenti, e lei si era presentata con il suo compagno a casa nostra. Avevamo una bambina, la mia ragazza è scesa mentre io sono rimasto con lei. Quando ho sentito che urlavano, l’ho lasciata da una vicina e sono sceso in strada. La mia compagna era a terra, sotto l’altra che era più grossa fisicamente. Lui era appoggiato ad un muro e non faceva nulla. L’ho liberata e l’ho portata in casa con me, mi ha subito detto che era stata “bucata” e ho visto la maglia strappata e il taglio sul fianco. Abbiamo chiamato Carabinieri e ambulanza”. La giovane era stata trasportata d’urgenza al Pronto soccorso dell’ospedale di Lecco, e dopo un giorno in terapia intensiva era stata ricoverata un settimana circa. Ma la ferita le aveva impedito di lavorare per diverse settimane. Molto diversa la versione dei fatti resa in aula dall’imputato. “Lavoravo con il convivente di quella giovane, lui mi aveva detto che la mia ragazza gli aveva offerto un passaggio, ma non era un problema per me. È stata la sua fidanzata a chiamarmi per dirmi che dovevamo chiarire la faccenda, per questo quel giorno siamo andati insieme a casa sua” ha spiegato rispondendo alle domande del suo avvocato Francesca Allegra e di Arveno Fumagalli (per l’imputata). “Quando è scesa in strada si sono subito azzuffate, io ho cercato di dividerle, e ho chiamato lui al citofono dicendogli di scendere e di darmi una mano. Ma lui in strada non ci è mai venuto. La lite poi si è esaurita, e ognuno è andato per la sua strada. Pochi minuti dopo il mio collega mi ha telefonato, dicendomi che la sua ragazza era stata accoltellata. Io non ho visto nessun coltello, non c’erano armi. Sono tornato là, ed erano tutti e due in piedi ad aspettare l’ambulanza. Lei non perdeva sangue apparentemente, era tranquilla e si stava fumando una sigaretta”.Il Pubblico ministero Mattia Mascaro ha chiesto per entrambi 1 anno di reclusione per le lesioni aggravate, e 1 mese di arresto per la parte lesa limitatamente alle molestie telefoniche lamentate dall’imputata. Una accusa, quest’ultima, per la quale l’avvocato Nadia Invernizzi ha chiesto l’assoluzione spiegando di avere forti dubbi che la sua assistita abbia effettuato quelle chiamate dal letto dell’ospedale. “Il dottor Tricomi ha spiegato che la ferita inferta alla mia assistita è riconducibile senza dubbio ad un’arma da taglio, che ha lambito la milza senza fortunatamente renderne necessaria l’asportazione. È indiscutibile che la zuffa tra le due ragazze c’è stata, ma la versione resa dall’imputato appare alquanto inverosimile” ha spiegato l’avvocato, chiedendo la condanna dei due e un risarcimento di 30.000 € (provvisionale di 7.500 €). Ha parlato di “contraddizioni evidenti” nella ricostruzione dei fatti l’avvocato Arveno Fumagalli, sottolineando come la maglietta nera della parte lesa (caratterizzata a detta del suo ex convivente da numerosi tagli inferti dalla presunta lama) non sia mai stata prodotta. “Il personale sanitario intervenuto ha ipotizzato la presenza di un taglierino, ma è verosimile che il taglio si sia verificato durante il litigio e la caduta a terra. Credo che oggi l’imputato abbia raccontato la verità” ha spiegato l’avvocato della donna, chiedendo per lei l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Medesima richiesta quella formulata dall’avvocato Allegra per il suo assistito, che con i fatti in questione – ha spiegato - “non c’entra nulla”. “Egli ha spiegato di aver cercato di separare le due ragazze, di aver chiesto aiuto senza ottenere risposta, e ha detto che è stata la parte lesa a dire loro di recarsi da lei”. Il giudice Salvatore Catalano ha condannato la coppia a 5 mesi e 20 giorni (lei) e 4 mesi di reclusione (lui), e risarcire la giovane che porterà i segni della ferita in modo permanente con 8.400 €.
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