Gli avvocati Ruggero Panzeri e Roberto Tropenscovinopersone offese in questo processoHa spiegato - sottoponendosi ad esame - le proprie ragioni, ripercorrendo i passaggi della vicenda e, in qualche modo, rincarando perfino ulteriormente "la dose", nella convinzione di essere nel giusto in quanto - a suo dire - vittima. Giorgio Toscani, ha parlato a ruota libera, contenuto soltanto - quando è stato il suo turno nel porre le domande - dall'avvocato difensore che ha tentato di "tenere nei binari" il proprio assistito per provare a fare chiarezza su una questione certamente articolata e per certi aspetti "variopinta". L'uomo si trova infatti chiamato a rispondere di diffamazione e calunnia nei confronti di due avvocati del Foro di Lecco, Roberto Tropenscovino e Ruggero Panzeri, suoi legali in riferimento ad un'altra causa che ha visto, anche in quell'occasione, il Toscani vestire i panni dell'imputato per aver mosso pesanti accuse nei confronti della Casa di Riposo di Calolziocorte. Una causa quest'ultima chiusa nel 2010 con una sentenza di condanna, poi appellata, riconfermata e passata in giudicato. Una vicenda nota alla stampa locale, come spiegato da Matteo Filacchione - allora cronista della Gazzetta di Lecco - chiamato a deporre della difesa nel corso dell'ultima udienza, tenutasi nei giorni scorsi in Tribunale a Lecco, al cospetto del giudice monocratico Salvatore Catalano dinnanzi al quale sono sfilati anche, come già nella prima seduta, alcuni avvocati lecchesi, inusualmente in qualità di testimoni, della parte civile nello specifico. Il penalista Stefano Pelizzari, legale di Tropenscovino e Panzeri, ha infatti citato i colleghi Caterina Busellu, Andrea Bonaiti e Stefano Savarino oltre alla dottoressa Anna Spreafico, prima ad accomodarsi al microfono. Dipendente dello studio delle persone offese, l'impiegata ha ricordato come effettivamente i propri titolari si occuparono di una causa civile con controparte la Casa di riposo di Calolziocorte, raccontando di aver inviato ella stessa la sentenza di primo grado al cliente, spedita inizialemente, per mero errore, ad un indirizzo non corretto. "Chiamava spesso, era abbastanza insistente: cercavamo di assecondarlo" ha poi proseguito rispondendo alle domande dell'avvocato Pelizzari.L'avvocato Andrea Bonaiti e l'avvocato Caterina Busellutesti citati dalla parte civileHa riferito invece circa una mail ricevuta nel 2011 dal signor Toscani, quella "incriminata" in questo processo, l'avvocato Busellu, che - tra le altre cose - ha sottolineato come le sia rimasto impresso il dettaglio relativo all'accusa di "aver copiato di sana pianta una memoria" mossa dall'uomo - a lei sconosciuto - nei confronti dei colleghi Tropenscovino e Panzeri contro i quali lo scrivente voleva fare causa. "C'erano anche degli allegati che non ho aperto" ha sostenuto, ammettendo di aver inoltrato il tutto proprio a Ruggero Panzeri, dopo aver saputo che la medesima mail era stata ricevuta anche dagli avvocati Beccalli e Mulargia, suoi compagni di studio. Diversa - per ovvie ragioni - la posizione dell'avvocato Andrea Bonaiti, legale della Casa di Riposo (o meglio della Parrocchia ad essa legata) nelle due cause che hanno avuto quale controparte il Toscani. Egli, sempre incalzato dall'avvocato Pelizzari, ha argomentato in relazione ad una delle "critiche" mosse dall'imputato nei confronti dei propri - ex - legali ovvero il procedimento seguito per la correzione di un errore materiale rispetto alla sentenza di condanna redatta dalla dottoressa Trovò al termine del procedimento civile: nella prima versione del documento mancava infatti una pagina. "Ho sentito il collega, non poteva procedere all'assenso. In udienza non comparì nessuno" ha ricordato Bonaiti, relativamente all'iter seguito per sistemare l'inghippo che avrebbe potuto inficiare la validità di quanto disposto dal giudice, ovvero la condanna del Toscani al pagamento di 15.000 euro in favore della parrocchia di San Martino Vescovo, oltre alle spese legali.L'avvocato Stefano Pelizzarilegale di parte civileDa ultimo ha giurato di dire la verità l'avvocato Stefano Savarino, prima praticante poi associato dello Studio Tropenscovino e Panzeri. "Non ho seguito la pratica in maniera continuativa" ha affermato, sempre facendo riferimento alla causa con la Rsa calolziese per i presenti maltrattamenti patiti dagli ospiti denunciati dal Toscani, aggiungendo poi di essere intervenuto in prima persona, confrontandosi con l'assistito dei suoi colleghi, proprio a seguito della scoperta della mancanza di una fogliazione della sentenza, a fine 2010. "Panzeri aveva parlato a lungo con il cliente, senza riuscire a far capire come funzionavano gli errori materiali. Mi sono così fatto parte diligente" ha sostenuto, ricordando poi come l'attuale imputato sostenesse al tempo l'esistenza di un "complotto tra l'avvocato Bonaiti e la dottoressa Trovò" ma non lamentasse nulla contro Panzeri e Tropenscovino. "Era difficile fargli capire le cose: non accettava le spiegazioni" ha detto, evidenziando come a suo giudizio la conversazione intercorsa non possa essere etichettata come concitata. "Non voleva capire, secondo me" ha così sentenziato precisando comunque come Giorgio Toscani non chiedesse di sfruttare la mancanza della pagina per appellare la sentenza. Decisamente più "pittoresca" rispetto ai razionali interventi dei legali-testimoni la deposizione dell'imputato, attualmente residente a Crotone, che ha esordito domandando al giudice: "ha idea di cosa significa trovare qualcuno che mi possa difendere contro un avvocato?" per poi spiegare come l'idea di mandare un lettera a tutti i penalisti del Foro di Lecco nacque dopo una serie di incontri andati sostanzialmente a vuoto con altri professinisti, di cui non è stato però in grado di fare i nomi. "Se fossi andato avanti per appuntamenti avrei trovato un avvocato dopo anni" ha così sostenuto. "Ogni volta dovevo spiegare tutto". "Il problema - gli ha fatto così notare la pubblica accusa, sostenuta dal vpo Pietro Bassi, confondendo però la missiva circolare con le lettere inviate direttamente alle due persone offese - è che lei dà dei microcefali, degli imbecilli e dei cafoni sia a Tropenscovino che a Panzeri". Un'affermazione quest'ultima che ha "dato il la" all'imputato per criticare, nuovamente, a più riprese i due legali che avrebbero - a suo dire - un basso quoziente di intelligenza in quanto non in grado di rispondere a domande banali che egli stesso poneva; avrebbero inserito nella loro memoria, senza nemmeno correggere alcuni errori e la formattazione, uno scritto prodotto dal cliente; non lo avrebbero informato per tempo dell'esito processuale mettendolo così nelle condizioni di sapere della condanna dal giornalista Matteo Filacchione, già in possesso della sentenza; avrebbero cercato di convincerlo a tacere in relazione alla mancanza della pagine della sentenza; gli avrebbero inviato - al momento dell'interruzione del rapporto - la documentazione richiesta ad un vecchio indirizzo di Trento e non al domicilio di Osnago, dove allora viveva da tempo, per fargli perdere tempo; avrebbero mal fatturato i compensi ricevuti... Insomma: sarebbe stata "un'escalation" come asserito dall'imputato che ha anche argomentato circa una condanna e una sospensione dall'ordine patite dall'avvocato Tropenscovino per spingersi così a criticare quello che egli ha chiamato "quoziente etico". Il 18 aprile è prevista la discussione, ma probabilmente, anche la sentenza del dottor Catalano, non chiederà definitivamente questa arzigogolata partita.
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