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Lecco: ricordati dalla viva voce di Pino Galbani i tragici fatti del 7 marzo 1944

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"Eravate compagni di lavoro, siete diventati martiri per l'odio politico e religioso". Nelle parole di Pino Galbani, unico sopravvissuto degli scioperanti delle fabbriche lecchesi  deportato nei campi di sterminio nazisti, nella sua voce strozzata dai ricordi che si stringono in gola, nella sua mano tremante che si allunga verso l'incisione marmorea accarezzata dal tricolore che perpetua il ricordo di quei fatti miserabili, c'è tutto il dolore che non sbiadisce con il tempo, tutta la sofferenza che soffoca il cuore. Per non smettere di ricordare, per onorare il sacrificio di quei circa 12.000 operai italiani deportati perché accusati dal regime fascista di aver organizzato il boicottaggio della produzione bellica, e in particolare dei 40 lecchesi  cui toccò la medesima sorte, quest'oggi l'ANPI -Associazione Nazionale Partigiani d'Italia- e  CGIL-CISL-UIL di Lecco, hanno organizzato una mattinata aperta a tutta la cittadinanza. L'evento si è aperto alle ore  8.30, con la Santa Messa celebrata da  don Egidio Casalone  nella chiesa di Castello "SS. Martiri Gervaso e Protaso" ed è proseguita con  il corteo composto da Istituzioni, Associazioni, Partiti e cittadini che si è mosso per Corso Matteotti e Via Castagnera sino al Parco 7 Marzo, dove all'Anpi di Lecco si è incaricata di ricostruire i fatti accaduti. Al microfono Pino GalbaniFermatisi per un rispettoso e commovente momento di riflessione  dinnanzi alla lapide dei caduti di Via Castagnera, la cerimonia ha poi vissuto il momento di massima tensione nell'Aula Magna di via XI Febbraio 8, dove i presenti, racchiusisi in un silenzio surreale, hanno teso le orecchie alla viva testimonianza di Pino Galbani. Preceduto dall'introduzione di Giorgio Cornicella, rappresentante della CIGL, e dalle parole della Pro.fssa Maddalena Esposito dell'Istituto Bertacchi, che ha sottolineato l'importante ruolo della scuola nel favorire la nascita di una 'coscienza partecipata e condivisa' tra i ragazzi di oggi, uomini di domani,  Pino Galbani si è dimenato tra i suoi lucidissimi ricordi:  "sono passati 72 anni da quel 7 marzo del 1944, quando entrando in fabbrica non si parlava di lavoro ma di sciopero. Chiedevamo una cosa: di porre fine alla guerra, quella guerra che alimentava in noi un sentimento di odio e di violenza". Limpido, crudele, tragico, Pino Galbani ha dato voce al ricordo con parole ben scandite, flussi di pensieri chiari, troppo ingombranti per venire annebbiati dal tempo che scorre. A volte è subentrato anche l'affanno, sì,  conseguenza di un fardello che pesa enormemente sul cuore, fatica di una vita che non poteva essere più la stessa dopo quanto successo, e che tuttavia non ha stoppato nemmeno per un secondo la sua narrazione. Galbani, ha rievocato quindi ore e date dell'accaduto senza esitazioni, con precisione e cadenza quasi meccanica: "lo sciopero doveva aver luogo alle ore 10 della mattina, al suono della sirena che costituiva la prova quotidiana di allarme aereo, e terminare a mezzogiorno. E così avvenne. Alle ore 13.30, gli operai erano tornati al posto di lavoro. D'un tratto entrarono in fabbrica le camicie nere provenienti da Como che obbligarono ad abbandonare il posto di lavoro per radunarsi in cortile: volevano sapere chi avesse indetto lo sciopero". I nominativi, tuttavia, non arrivarono e così, come monito per tutti gli altri operai, i gruppi armati di fascisti arrestarono 24 uomini e 5 donne, e legarono gli operai facendoli sfilare per le vie di Lecco. Era solo l'inizio: da Lecco a Como, a sfilare ancora come animali legati, poi nuovamente a Lecco, rinchiusi in uno scantinato senza poter parlare con nessuno e infine trasportati a Bergamo e incarcerati. [GALLERYCENTRALE]"In quella notte arrivarono in quella caserma oltre 1000 altri scioperanti,  e da Bergamo partimmo sui treni che portavano ai campi". Mauthausen, la destinazione, luogo di morte che giorno dopo giorno si portava via i suoi compagni.  Poi, in mezzo a tanto nero, un ricordo di inestimabile emozione, l'incontro casuale con un altro lecchese e la riscoperta di un'umana solidarietà che nemmeno i nazisti erano riusciti a portarsi via: "non trovo le parole per esternare ciò che ho provato nell'incontrare un mio concittadino. Ci buttammo l'uno nelle braccia dell'altro e piangemmo. Non me ne vergogno, ho pianto tra le braccia di uno sconosciuto. Lui mi donò il suo cucchiaio per mangiare la zuppa, io gli promisi di fargli avere qualche patata". Ancora ricordi, poi, con il dolore che monta sempre più forte nelle parole di Galbani. E infine la liberazione, bramata, sofferta, ormai quasi insperata: "eravamo sfiniti, chiusi in una baracca, in attesa della libertà o della morte: quello che sarebbe venuto prima l'avremmo accettato". Alle ore 17, l'arrivo dei liberatori e la gioia inenarrabile che esplode per qualche momento di pura euforia, presto smorzata da un sentimento ingombrante, dannato: "l'odio, l'odio di cui mi ero cibato e che stava diventando vendetta sanguinante. Ebbi una crisi". Ma alla fine, l'insegnamento più grande: "Dissi no alla vendetta. La gioia per la sopravvivenza doveva ripagarmi del male subito: non presi parte ai fatti sanguinari che seguirono. L'odio  distrugge, abbiamo bisogno di vivere in amicizia e in pace, solo così si può costruire".Una testimonianza di inestimabile valore, quella che Pino Galbani ha regalato anche quest'anno ai suoi concittadini lecchesi. Ad ascoltarlo, oltre agli studenti del IIS Bertacchi e degli altri Istituti lecchesi che partiranno per il "Viaggio della la Memoria 2016" da Lecco ad Auschwitz, anche Liliana Baccari, Prefetto di Lecco, il sindaco Virginio Brivio, Giancarla Pessina dell'Anpi Lecco, la dott.ssa Mimma Vassallo della Questura e molti altre autorità civili e militari. La mattinata è stata allietata dall'Intervento musicale dell' "Ensemble strumentale" del Liceo Grassi di Lecco, guidata dal professor Maurizio Fasoli.

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