La prevenzione come soluzione per affrontare al meglio gli stati mentali a rischio, che possono degenerare in una percezione alterata della realtà e in patologie caratterizzate da alti costi a livello sanitario e sociale. È questo il campo in cui, anche in Provincia di Lecco, ci si sta muovendo attraverso una rete di collaborazione tra soggetti istituzionali, sanitari e associativi presenti sul territorio, in grado di offrire programmi di screening che riescano in primo luogo a intercettare i soggetti potenzialmente a rischio, e a ridurre fenomeni in espansione. Tra questi rientrano i disturbi mentali dei giovani (spesso legati ai fenomeni migratori che sempre più caratterizzano il nostro territorio) che possono portare a eventi tragici come il suicidio, la depressione post partum (il 10% delle madri ne soffre, e all’ospedale Manzoni 170 neo mamme sono risultate positive allo screening realizzato per evidenziare i sintomi di rischio della patologia), e l’area minorile con problematiche che colpiscono bambini e ragazzi figli di pazienti psichiatrici o che invece subiscono abusi da parte di adulti. Il dottor Antonio Lora e la dottoressa Sabrina ZanettiUn quadro ampio di queste tematiche è stato tracciato questa mattina presso l’ospedale lecchese, nell’ambito della Conferenza Territoriale per la Salute Mentale promossa da Asl e Azienda ospedaliera in collaborazione con Provincia, Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci, Ambiti distrettuali di Lecco, Merate e Bellano, Ufficio scolastico provinciale, rappresentanti del terzo settore, associazioni di volontari e famigliari, strutture private accreditate.A fare gli “onori di casa” il dottor Antonio Lora, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda ospedaliera, e il direttore della Neuropsichiatria infantile dottor Ottaviano Martinelli. “I progetti illustrati mostrano come sia difficile promuovere un’attività di prevenzione nell’area della salute mentale. La geometria dei servizi in questo campo deve cambiare, è necessario avvicinarsi alla popolazione, aumentare i punti di accesso a chi soffre di queste problematiche” ha spiegato il dottor Lora. L’obiettivo è quello di uscire da un’idea di cura dei disturbi mentali confinata ai reparti psichiatrici ospedalieri o al Cps, per intercettare in maniera efficace i soggetti a rischio, ed evitare così lo svilupparsi di patologie che possono essere evitate. “Il convegno illustra l’importanza della prevenzione sia in ambito psichiatrico che neuro psichiatrico infantile, per adulti e minori esistono importanti punti di connessione in questo senso” ha spiegato il dottor Martinelli. “L’efficacia di questi progetti, alcuni dei quali già attivi e altri che potrebbero essere sviluppati nella nostra Provincia, risponde alla necessità di affrontare in modo più esteso queste problematiche, andando ad intercettare le situazioni a rischio. Ma anche, e la Riforma del sistema sanitario nazionale va proprio in questa direzione, affrontare il problema in maniera multidisciplinare, uscendo sul territorio grazie ad una rete collaborativa che coinvolga istituzioni ma anche associazioni”. Carmela Zambelli di Ale G e la dottoressa Elisa StucchiVa proprio in questa direzione l’esperienza di attivazione comunitaria nella prevenzione dei disturbi mentali gravi dei giovani, presentata dalle dottoresse Elisa Stucchi e Sabrina Zanetti – rispettivamente psicologa e assistente sociale al Dipartimento di salute mentale dell’Ao – e la presidente dell’associazione “Ale G” onlus Carmela Zambelli. “L’obiettivo dell’attività promossa grazie alla collaborazione di più realtà (Azienda ospedaliera, istituti comprensivi, associazioni) è quello di individuare e prevenire stati mentali a rischio, che nascono da una percezione alterata della realtà. Circa il 30% di questi, se non trattati, entro 2 anni e mezzo degenerano in disturbi conclamati di tipo psicotico” ha spiegato la dottoressa Stucchi, che ha evidenziato come tra i giovani tra i 15 e i 24 anni rientrino tra i soggetti maggiormente a rischio i migranti (di prima e seconda generazione), i figli di pazienti seguiti dai servizi territoriali, e i ragazzi adottati. “La discriminazione e l’isolamento legati al fenomeno migratorio o all’appartenenza ad una minoranza etnica possono accrescere i fattori di rischio, ma grazie ad una diagnosi precoce si possono combattere questi disagi” ha spiegato la dottoressa Zucchi. Questo avviene grazie al “Board”, gruppo di persone attive sul territorio che supporta l’attività di prevenzione svolta dalle “agenzie” (scuole, associazioni che si occupano di giovani, centri sportivi, parrocchie), che su indicazione del coordinamento intercettano giovani con stati mentali a rischio, che vengono poi presi in carico da una equipe integrata multi professionale del servizio di salute mentale. “L’obiettivo è proprio quello di fare squadra, in un approccio flessibile e culturalmente “sensibile” che sappia individuare il problema all’interno del contesto sociale e famigliare del ragazzo”. Una “rete sociale integrata”, come l’ha definita la dottoressa Zanetti, che dall’ottobre 2014 è attiva sul territorio e ha preso in carico una decina di soggetti, oltre a promuovere una preziosa attività di formazione nelle scuole. L’unica criticità è rappresentata dalle temporaneità del progetto, evidenziata anche dalla presidente di Ale G Carmela Zambelli. “Dal 1997 operiamo dalla parte dei bambini, a sostegno dei minori stranieri e delle loro famiglie sul territorio meratese. Le problematiche legate alla migrazione possono portare a disagi gravi, e per rispondere a questo fenomeno sarebbe importante che questa collaborazione venga garantita in modo permanente”. È attualmente in cerca di nuovi fondi anche l’intervento di prevenzione e trattamento precoce della depressione post-partum illustrato dal dottor Vittorio Rigamonti e la dottoressa Cinzia Galletti, psicologi presso il Dipartimento di Salute mentale. “Il progetto si basa sull’integrazione tra il nostro ambito e quello materno-infantile. Lo screening del fenomeno avviene infatti durante il corso pre parto e la degenza della madre, l’eventuale trattamento in un altro settore ospedaliero” ha spiegato il dottor Rigamonti sottolineandone la particolarità. “Il baby blues ha un costo sanitario e sociale, poiché se non trattato porta ad assenze sul lavoro e ricadute sull’intera famiglia. Circa 170 mamme, su 1.700 nascite al Manzoni, sono risultate positive allo screening, 10%”. I dottori Ottaviano Martinelli, Vittorio Rigamonti e Cinzia GallettiLa dottoressa Galletti ha specificato che a settembre 2014, quando è stato attivato il progetto pilota, il 13% delle 80 donne interpellate è risultata positiva per i sintomi depressivi. Una percentuale scesa al 9% (75 mamme su 850) tra maggio e settembre 2015, quando il test è diventato nominale. Il 43% è rientrato nella fascia di “attenzione”, e il 21% è stata ricontattata dagli operatori. “68 donne si sono presentate, le altre hanno rifiutato. Ad oggi abbiamo in carico 30 mamme, e altre 30 si sono fermate al primo colloquio. Spesso non continuano perché tornano presto al lavoro dopo il parto, o perché vivono lontano da Lecco”. Anche i papà possono essere colpiti dal baby blues, e per questo alla fase di screening segue una valutazione psicodiagnostica per le donne o le coppie di genitori, con la possibilità di un intervento psico – farmacologico gestito dai volontari dell’Azienda ospedaliera. “È possibile individuare tre livelli di gravità, e agire preventivamente sugli effetti che i disturbi della madre avrebbero anche sul bambino” ha concluso il dottor Rigamonti. I due progetti nei confronti dei giovani e delle neo mamme hanno domostrato come anche sul territorio lecchese, la prevenzione nel campo della salute mentale è possibile ed efficace, con la collaborazione di specialisti e associazioni.
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