La parrocchia di Calolzio si interroga sul tema della migrazione: un fenomeno che pone domande e chiede risposte anche alla Chiesa.Il parroco Don Giancarlo con don MassimoDi questo nei giorni scorsi si è discusso con don Massimo Rizzi, direttore dell'ufficio per il dialogo tra le religioni e della pastorale dei migranti della diocesi di Bergamo, ospite all'interno del ciclo di incontri con "donne e uomini di Carità"."Papa Francesco ha detto che il volto dei profughi è il volto di Gesù: ma quanti di noi quando incrociano uno straniero pensano di avere di fronte agli occhi il volto di Cristo?" è stata la provocazione del sacerdote. "Migranti e rifugiati oggi ci interrogano profondamente ma spesso rimaniamo insensibili, ci dispiace forse della loro sofferenza ma pensiamo che non sia affar nostro".In tutta la diocesi di Bergamo ci sono circa 1.500 richiedenti asilo ("che prevediamo diventeranno 2.000 nei prossimi mesi"). Pochi sono però quelli ospitati dalle parrocchie del circondario calolziese: una decina si trovano in alcuni appartamenti della parrocchia di Calolzio tramite la gestione dalla Cooperativa Il Gabbiano mentre nelle strutture dei padri somaschi sono accolti alcuni minori non accompagnati."Quando guardiamo al fenomeno della migrazione - e dunque non solo ai richiedenti asilo - non dobbiamo però vederlo esclusivamente come una problematicità: il migrante non è solo una persona in una condizione di fragilità. Certo non avendo reti famigliari gli stranieri sono a rischio, ma sono anche una risorsa per il paese. Non dimentichiamo che l'imprenditoria più attiva è proprio quella degli immigrati, generalmente più intraprendenti degli italiani proprio perché non hanno quasi nulla da perdere. Inoltre ci sono interi settori che oggi sono in mano agli stranieri: penso ad esempio alla cura delle persone anziani o con problematiche che abbiamo affidato quasi interamente a immigrati, che svolgono lavori come badanti e colf. E' interessante notare come spesso abbiamo paura degli stranieri ma allo stesso tempo abbiamo deciso di affidare loro i nostri affetti più cari" ha continuato don Massimo. "Non dimentichiamo mai che si parte non solo perché si fugge da qualcosa: si può partire anche in cerca di qualcosa. Chi di noi non vuole una vita migliore?".Sono spunti di riflessione quelli che padre Massimo ha voluto lanciare ai calolziesi presenti (tra loro anche don Giancarlo, don Matteo e padre Livio Valenti dei padri somaschi): immagini ma anche provocazioni per capire quale può essere il ruolo delle parrocchie e dei cristiani in un mondo che deve fare i conti con le migrazioni. La Diocesi di Bergamo ad esempio ha istituito delle vere e proprie missioni in città con sacerdoti originari di altri paesi o missionari per dare la possibilità ai cattolici che provengono da altre nazioni di vivere la loro fede nella propria lingua e anche con le proprie tradizioni e i propri modi di fare."Oggi la nostra società vive ancora basandosi sulle concezioni di nazioni maturate nell'800: parliamo con l'altro capo del mondo ma continuiamo ad avere frontiere e confini. Abbiamo voluto un mondo globalizzato: vogliamo avere le banane in tavola, vogliamo andare in vacanza a Sharm, vogliamo il petrolio e i minerali dell'Africa. Ma non vogliamo che siano gli altri a entrare nel nostro mondo. Ma è evidente che oggi non possiamo più parlare di "noi" e di "loro": basta guardare alle classi dei nostri figli per accorgersi che questa divisione è ormai superata" ha concluso don Massimo.
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